Martin Heidegger

Martin Heidegger 

Martin Heidegger (1889–1976) è una delle figure più complesse e influenti della filosofia contemporanea. Allievo di Husserl, da cui eredita il metodo fenomenologico, Heidegger se ne distacca profondamente per orientare la fenomenologia verso l’ontologia, cioè la domanda sul senso dell’Essere. La sua opera più importante, Essere e tempo (1927), segna una svolta radicale nella filosofia del Novecento, aprendo le porte all’esistenzialismo, all’ermeneutica e a nuove forme di pensiero critico.


Vita e contesto storico

Martin Heidegger nasce nel 1889 a Meßkirch, in Germania, da una famiglia cattolica. Inizia studi teologici ma li abbandona per dedicarsi alla filosofia, diventando allievo di Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia. Dopo aver insegnato a Marburgo e a Friburgo, pubblica nel 1927 la sua opera più importante, Essere e tempo, dove propone una nuova analisi dell’esistenza umana (il Dasein) e del senso dell’Essere.

Heidegger vive in un periodo segnato da grandi crisi: la Prima guerra mondiale, la crisi della Repubblica di Weimar, l’ascesa del nazismo (a cui aderisce brevemente nel 1933 come rettore dell’università di Friburgo), e la Seconda guerra mondiale. Dopo il 1945 viene sospeso dall’insegnamento per le sue posizioni politiche, ma continua a scrivere e a insegnare in forma privata.

Nel dopoguerra si dedica a riflessioni più poetiche e critiche sul rapporto tra tecnica moderna, linguaggio e Essere. Muore nel 1976. La sua filosofia ha avuto un enorme impatto sul pensiero del Novecento, ma resta discussa per il suo coinvolgimento con il regime nazista.

L'Heidegger di Umberto Galimberti è fuori tempo massimo
Martin Heidegger

La domanda fondamentale: che cos’è l’Essere?

Heidegger parte da un interrogativo tanto semplice quanto dimenticato dalla tradizione filosofica:
 “Che cos’è l’Essere?”

Secondo lui, la filosofia occidentale, da Platone in poi, ha cercato di capire gli enti (cioè le cose che esistono), ma ha dimenticato di interrogarsi sul senso stesso dell’Essere, cioè su ciò che rende possibile ogni forma di esistenza.

Questa “dimenticanza dell’Essere” ha portato a una visione tecnica e oggettivante della realtà, che tratta l’essere umano come una cosa tra le cose, perdendo il significato più autentico dell’esistere.


Il metodo fenomenologico e la centralità del Dasein

Nel solco di Husserl, Heidegger adotta il metodo fenomenologico: vuole “tornare alle cose stesse”, ma applica questo metodo non alla coscienza, bensì all’esistenza umana.

Per farlo, introduce il concetto chiave di Dasein, termine tedesco che significa “esserci”, e con cui indica l’essere umano nella sua concretezza, in quanto essere che si pone la domanda sull’essere.

Il Dasein non è un oggetto da studiare, ma è l’ente privilegiato attraverso cui si manifesta il senso dell’Essere, perché:

  • vive nel mondo,

  • si comprende in relazione al proprio essere,

  • è aperto alla possibilità,

  • è consapevole della propria finitezza.


L’essere-nel-mondo: un’unità originaria

Heidegger rifiuta la tradizionale distinzione tra soggetto e oggetto, mente e mondo. Secondo lui, il Dasein è sempre essere-nel-mondo:  non esiste mai “isolato”, ma è sempre immerso in una rete di relazioni, significati e attività.

Questa visione ha importanti conseguenze:

  • L’uomo non è un osservatore distaccato, ma partecipa attivamente al mondo.

  • Il mondo è già pregno di senso, prima di ogni riflessione teorica.

  • Le cose che incontriamo (gli “enti”) non sono semplici oggetti, ma strumenti utili e inseriti in un contesto pratico(es. il martello è per il chiodo, il bicchiere per bere…).


L’autenticità e l’inautenticità

Il Dasein può vivere in due modi:

  • Inautenticamente: quando si lascia trascinare dalla quotidianità e dal “si” impersonale (“si dice, si fa, si pensa…”). In questo modo, l’individuo si nasconde dietro la massa e perde il contatto con la propria unicità.

  • Autenticamente: quando prende coscienza della propria finitudine e della propria libertà, assumendo la responsabilità della propria esistenza.

L’autenticità si conquista confrontandosi con la morte, che per Heidegger non è un evento biologico, ma la possibilità più radicale dell’essere. Solo accettando la propria mortalità, il Dasein può vivere in modo autentico.


Il tempo e l’Essere

In Essere e tempo, Heidegger afferma che il senso dell’essere si chiarisce nel tempo. Il Dasein, infatti:

  • viene dal passato (le sue possibilità già vissute),

  • è immerso nel presente (il mondo attuale),

  • e si proietta verso il futuro (le possibilità ancora da realizzare).

L’essere umano è, dunque, temporale: esiste sempre in vista di qualcosa e verso qualcosa. È questa struttura temporale che rende possibile la comprensione dell’essere.


La svolta (Kehre) e il “secondo Heidegger”

Dopo Essere e tempo, Heidegger attraversa una svolta (detta Kehre), in cui cambia il suo linguaggio e si allontana dal concetto di Dasein, per concentrarsi su una riflessione più poetica e meditativa sull’Essere stesso.

In questa seconda fase:

  • L’essere non è più solo il tema del Dasein, ma qualcosa che “accade”, che si “manifesta” nella storia, nell’arte, nella parola poetica.

  • Heidegger analizza il linguaggio come “la casa dell’essere”: è attraverso la parola che l’essere si mostra o si nasconde.

  • Denuncia il dominio della tecnica moderna, che riduce tutto a risorsa da usare (in tedesco: Bestand), portando a una visione spersonalizzata e pericolosa del mondo.


L’eredità di Heidegger

L’influenza di Heidegger è immensa, anche se controversa (soprattutto per la sua adesione iniziale al nazismo negli anni '30, poi ritrattata ma mai chiarita del tutto). Ha influenzato:

  • Jean-Paul Sartre e l’esistenzialismo francese,

  • Hans-Georg Gadamer e l’ermeneutica,

  • Jacques Derrida, Foucault, Levinas e il post-strutturalismo,

  • La teologia contemporanea, la psicologia esistenziale, la critica alla tecnica.

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